ancora L'Avvenire sulla sentenza di Strasburgo

L’Avvenire ritorna sulla sentenza di Strasburgo, cercando di delegittimare la suprema Corte e il titolo dell’articolo è: Ma la Corte dei diritti di Strasburgo serve davvero?

Ecco alcuni estratti dell’articolo: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque ceduto alla tentazione di dire la sua sul dibattito italiano.

Negli ultimi 15 anni la Corte europea ha adottato una linea giurisprudenziale che nell’interpretazione dell’art. 8 ha dato protezione alle più svariate domande di "nuovi diritti", in particolare nella sfera sessuale e riproduttiva

La base è stata dunque ravvisata nell’art. 8, vero e proprio "calderone" da cui è possibile ricavare qualsiasi diritto piaccia ai giudici di Strasburgo.  (ci sono piaciuti il termine calderone e l’espressione :qualsiasi diritto piaccia ai giudici di Strasburgo)

La Corte si è pronunciata solo sulla differenza fra unioni omosessuali e matrimonio e sulla legittimità dell’esclusione delle coppie omosessuali dalla disciplina delle unioni di fatto. Dunque è inesatta la tesi di chi (come il professor Rodotà su "la Repubblica" del 22 luglio) considera scontata la conclusione della Corte.

E qual è, in particolare, la legittimazione di un giudice internazionale, che dovrebbe assicurare solo il rispetto di un minimo comune in materia di diritti fondamentali, rispettando le diverse sensibilità prevalenti nei diversi Stati?

Non intendiamo riportare tutto l’articolo, ma abbiamo l’impressione che si voglia cavillare sulla distinzione tra regolamentazione delle unioni civili e matrimonio omosessuale. La parola matrimonio non piace alla CEI, soprattutto perché potrebbe aprire la strada alle tanto demonizzate adozioni gay, ma niente impedirebbe di inserire il diritto all’adozione in qualsiasi legge fatta bene. Non dimentichiamo inoltre che sia il matrimonio civile che quello religioso concordatario altro non sono che l’accettazione di regolamenti che disciplinano la convivenza di due persone e non possiamo neanche dimenticare che la chiesa fino agli anni 60 additava come pubblici concubini coloro che si sposavano con il solo rito civile.

Concludiamo con un pensiero birichino: non sarà che ai vertici della chiesa non piaccia che la corte europea metta il naso nelle cose italiane perché il naso vogliono mettercelo solo loro?